Accogliere… passare!

4 Gennaio

L’apostolo Giovanni, nella prima lettura di quest’oggi ricorda non solo a ciascun credente ma ad ogni uomo e donna che vivono, soffrono e sperano sulla terra che <un germe divino rimane in lui> (1Gv 3, 9). Ora questo <germe divino> che abita nelle più alte profondità della nostra umanità, in Gesù si fa sguardo e si fa gesto capaci di risvegliare nei cuori uno slancio e un desiderio capace di aprire nuovi cammini e nuove speranze fino a farsi domanda ferma e amorevolissima: <Rabbì, – che, tradotto, significa maestro – dove dimori?> (Gv 1, 38). Conosciamo tutti la risposta che il Maestro, che viene dalla Galilea dà ai discepoli del Battista che diventano così la primizia della comunità che si stringe attorno a lui. Tuttavia, alla luce di quanto viene detto nella prima lettura la risposta va interpretata in modo più ampio e più profondo anche perché non ci è detto molto per capire meglio <dove egli dimorava> (Gv 1, 39). In ogni modo il luogo in cui il Signore Gesù si lascia incontrare non è che un simbolo dell’unico luogo in cui lo si può veramente conoscere e amare: questo luogo è il cuore profondo dell’uomo in cui la presenza di Dio si inabissa come <germe> di vita che dà vita.

Il modo in cui il Signore Gesù <passava> (Gv 1, 36) sulle strade della Palestina è la rivelazione del modo in cui da sempre e per sempre Dio ama passare e passeggiare nei corridoi – talora bui e senza uscita apparente – della nostra umanità: <Il venire di Gesù così determinato all’incontro, non è un’irruzione violenta, ma può essere notato. Giovanni vede venire Gesù, il quale non giunge di soppiatto, non balza improvviso sulle persone, ma consente loro un acclimatamento. […] Non si dice più di Gesù che viene verso Giovanni, ma di Gesù che cammina. Gesù non è più, come in prima battuta, colui che viene: ora egli è colui che passa. In tal modo egli suscita l’attenzione dell’altro, gli concede di attivarsi>1. Segno ne è che la presenza discreta, ma interrogante di Gesù crea in modo del tutto naturale un vortice, un passaparola che imprime ai cuori un dinamismo completamente nuovo capace di rimettere in cammino non solo i piedi, ma soprattutto i cuori che si aprono, in modo del tutto naturale, ad un passo nuovo che implica l’abbandono di ciò che già si conosce e si è sperimentato per affacciarsi serenamente e appassionatamente verso un futuro inedito: <Venite e vedrete> (1, 39).

Il dinamismo di ricerca e di condivisione sempre più allargata di una ricerca che rinnova la vita e ne scalda il desiderio non può che essere un dinamismo ermeneutico che continuamente si interroga e si lascia interrogare per tradurre al fine di capire e di permettere all’altro di comprendere sempre meglio che cosa sta succedendo e che cosa potrebbe ancora succedere. Se il criterio di discernimento è che <chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama suo fratello> (1Gv 3, 10). Possiamo così cogliere come e quanto il passaggio di Gesù permette alla fraternità e all’amicizia di rimettersi in moto.


1. A. FUMAGALLI, Come lui ha amato. L’eros di Gesù, San Paolo 2010, p. 21.

Accogliere… presentare

3 Gennaio

In questi giorni la Liturgia con la lettura dei primi tratti e dei primi passi del Signore Gesù presentati dal quarto vangelo ci fa accogliere <l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!> (Gv 1, 29). Sotto la figura dell’agnello, l’evangelista ci fa subito percepire quelli che sono i tratti inconfondibili e fondamentali del Signore Gesù: egli viene <verso> di noi senza avere paura e senza fare paura. Sono questi i tratti e i modi che permettono al Battista di testimoniare con pacato e ardente entusiasmo che questi è <il Figlio di Dio> (1, 34). L’identità di Gesù e la sua relazione unica con il Padre dei cieli non è la rivelazione di una differenza escludente. Al contrario, essa genera e dona a noi di prendere coscienza di <quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!> (1Gv 3, 1). Questa coscienza crea e continuamente ricrea tra noi e Gesù un legame profondissimo che dà alla nostra vita tutto il suo valore e la sua bellezza che ci permette di dare il meglio di noi stessi e di assumere gli stessi tratti di Gesù.

Questo significa imparare e ogni giorno re-imparare ad amare secondo l’inconfondibile stile del Signore Gesù per farci incontro ai nostri fratelli e sorelle in umanità con grande mansuetudine e con una dolcezza capace di distruggere ogni timore e ogni ritrosia. Come spiega con il suo acume spirituale Giovanni Cristostomo: <”Ecco l’Agnello di Dio” disse Giovanni, non parla Gesù Cristo; è Giovanni Battista a dire tutto. Lo Sposo è solito agire in questo modo; non dice ancora nulla alla Sposa, ma sta alla sua presenza in silenzio. Altri lo annunziano e gli presentano la Sposa. Quando lei compare, lo Sposo non la prende, bensì la riceve dalle mani di un altro. Ma dopo averla ricevuta, si lega tanto strettamente a lei, che lei non ricorda più coloro che ha dovuto lasciare per seguirlo>1.

Con queste note il Patriarca di Costantinopoli ci fa percepire tutta la tenerezza e la discrezione con cui il Verbo di Dio si fa incontro alla nostra umanità permettendoci di ritornare alla nostra origine e originalità divina. Proprio come il pastore in cerca della pecorella smarrita, Gesù si spinge ad incontrare Giovanni sino a <Betania al di là del Giordano>, fuori dunque dalla terra promessa: <Il desiderio amoroso di Gesù prende ancor più slancio laddove maggiore è la lontananza dall’uomo. La maggior distanza che l’uomo interpone all’incontro consente anzi di scorgere ancor più vividamente l’intensità del desiderio che muove Gesù verso il prossimo>2. L’intensità così discreta dell’amore e del desiderio di Cristo Signore non può che interpellare fino a risuscitare dalle profondità del nostro cuore il nostro desiderio e la nostra decisione di riconoscere in lui il <Figlio di Dio> (Gv 1, 34), l’archetipo e il modello del nostre essere chiamati a diventare ciò già siamo: figli di Dio! Così tutta la vita non sarebbe altro che una lenta preparazione al giorno in cui sarà l’Agnello di Dio a presentare ciascuno di noi al Padre come suoi fratelli, come suoi figli.


1. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento sul vangelo di Giovanni, 18.

2. A. FUMAGALLI, Come lui ha amato. L’eros di Gesù, San Paolo 2010, p. 20.

Accogliere… l’altro

2 Gennaio

L’umiltà di Giovanni, che rifulge in tutto il suo splendore nel Vangelo, è per noi una sorta di mappa dei sentimenti interiori con cui vivere questo tempo di preparazione alla solennità dell’Epifania. Ai Giudei che vengono espressamente da Gerusalemme, non necessariamente con intenzioni malevoli e forse nella segreta speranza di dare finalmente un volto e una voce alla loro attesa messianica, il Battista risponde con grande e ardita semplicità: <Io non sono il Cristo> (Gv 1, 20). L’umiltà di Giovanni è indice di verità come passione per l’altro, senza la quale nessuna identità – che sia autentica – è possibile. Due figure si contrappongono nella lettura che la Liturgia ci offre quest’oggi e mentre riprendiamo la quasi-ferialità della vita ordinaria di un nuovo anno che ci viene donato di vivere: da una parte <l’anticristo> che <nega il Padre e il Figlio> (1Gv 2, 22), e il Battista il quale, obbedendo ad una logica completamente diversa, nega se stesso in modo chiaro, solenne e, soprattutto, pieno di passione per l’altro di cui vuole essere solo <voce> (Gv 1, 23).

Giovanni Battista, che ci ha accompagnato nella nostra marcia di avvicinamento al mistero del Natale durante l’Avvento, si fa ancora una volta maestro e modello dell’accoglienza del Verbo fatto carne. Come discepoli dell’unico Maestro, che è l’unico Cristo e Signore rivelatosi nell’uomo Gesù di Nazaret, siamo chiamati ad agire con lo stesso suo cuore illuminato da una limpida consapevolezza che fa della relazione all’altro il centro prezioso e irrinunciabile della vita: <In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete> (1, 26). Proprio questa ignoranza di Cristo così discretamente presente da risultare apparentemente assente e financo inesistente può rendere la nostra vita così priva di senso o, talora, così supponente da rendere il nostro cuore bugiardo.

Siamo noi l’anticristo ogni volta che facciamo troppo caso a noi stessi e riserviamo un’attenzione inadeguata a <coloro che cercano di ingannarvi> (1Gv 2, 26). Ogni mattina siamo chiamati a ritrovare, invece, quell’umiltà appassionata e liberante che ci permette di negare noi stessi per affermare chi vogliamo essere in verità e semplicità: uomini e donne che danno spazio all’altro che riconoscersi allo specchio della vita quali persone autentiche. Nella nostra esperienza di fede siamo chiamati gradualmente a divenire capaci di negare a noi stessi di essere il <principio> e il centro della nostra stessa vita per dare sempre più spazio alla presenza di Cristo nella nostra vita: il suo abitare dentro di noi e camminare con noi è capace di conferire alla nostra esistenza le luci più belle e il senso più profondo. L’apostolo ci annuncia una grande gioia: <Se rimane in voi quel che avete udito fin da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. E questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna> (2, 25).