Ricompensa?

XXIII settimana T.O.

La domanda che si pone l’apostolo circa la <ricompensa> (1Cor 9, 17) di cui può sentirsi in diritto colui che mette tutta la propria vita al servizio del Vangelo, si fa sottilissima riguardo al nostro modo di porci gli uni di fronte agli altri. Tutti siamo animati da una sorta d’istinto a correggere gli errori altrui, un po’ per aiutarli nel loro cammino e molto di più per sentirci un po’ più sicuri di noi stessi tanto da essere come confortati, se così si può dire, dai limiti altrui. L’apostolo da una parte e il Signore Gesù dall’altra, ci richiamano, in modo assai esigente, ad una sorta di povertà interiore che ci permette di mettere in atto tutto quello che sentiamo di fare per il Vangelo con un senso profondo di soddisfazione che non ha bisogno di nessuna gratificazione ulteriore. L’apostolo Paolo si pone la domanda e si dà egli stesso la risposta: <Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo> (1Cor 9, 18).

Così pure, in questo senso di libertà interiore, possiamo finalmente camminare gli uni accanto agli altri senza sentirci in dovere di <guidare> (Lc 6, 39) o di correggere, ma semplicemente di condividere un pezzo di strada accogliendoci reciprocamente e senza alcuna pretesa di giudicare, valutare e definire il cammino e le scelte degli altri. Nel nostro percorso personale da ricominciare ogni giorno in obbedienza alla Parola di Dio, possiamo custodire nel cuore la domanda del Signore non per sentircene rimproverati e disapprovati, ma per sentircene liberati e sollevati: <Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello…?> (6, 41). Questa parola del Signore dovrebbe essere per noi prima di tutto un sollievo perché ci sgrava del peso – talora insopportabile – di dover incasellare e classificare gli altri fino a temere che gli altri facciano altrettanto nei nostri confronti. 

Il Signore ci chiede pure di togliere dal nostro occhio la trave che rende il nostro sguardo e la nostra visione delle cose – in particolare delle persone – così sfasate. Pertanto, come tutte le operazioni all’occhio, la cosa è assai delicata e se dobbiamo farlo da noi stessi la cosa si complica di più e, soprattutto, richiede un’attenzione e una delicatezza assolute per non rischiare di perdere l’occhio. Alla fine, si tratta di convertirsi profondamente accettando di lasciarsi guardare da Dio piuttosto che di occupare tempo ed energie a esaminarsi e ad esaminare. Molte volte ci sfreghiamo gli occhi fino ad arrossarli e a sentire male per togliere un granello di polvere che ci infastidisce fino ad innervosire… eppure, normalmente, basta avere la pazienza di aspettare un poco e tutto va a posto da solo. Cerchiamo di aiutarci a non cadere nel <fosso> (6, 39) del giudizio e della disapprovazione reciproca, ma diamoci tempo e serenità: <e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello> (6, 42). Ma chi può dire, in verità, di vederci così bene?!

Se!

XXIII settimana T.O.

Per una volta, si fa per dire, il Signore Gesù usa il <se> ipotetico che, normalmente, è il modo usato dal tentatore per farci entrare in una logica di illusione: <Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?> (Lc 6, 32). Questa parola ci viene rivolta dal Signore non per tentarci, ma per farci uscire allo scoperto su quella che è o meno la nostra disponibilità a vivere “di” vangelo. Mentre il diavolo ci tenta continuamente con i <se> che gonfiano ulteriormente il nostro ego e ci ammalano di egoismo, la parola del Signore Gesù si muove in modo totalmente diverso e si fa esortazione chiara e decisa: <A voi che ascoltate, io dico: amate invece i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, pregate per coloro che vi trattano male> (6, 27-28). Il Maestro non ci invita a diventare degli eroi né, tantomeno, a lanciarci in un percorso da “superman” spirituali. Al contrario queste parole sono un modo efficace per aiutarci a passare dall’illusione che ci fa fantasticare continuamente su noi stessi e sugli altri, alla capacità di dare il nome concreto alle situazioni che viviamo, fino a saperle assumere serenamente.

L’apostolo Paolo offre una chiave ulteriore per entrare nella logica evangelica che ci viene annunciata dal Signore: <la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica> (1Cor 8, 1). Anche questa frase non va accolta come un aforisma tanto bello quanto teorico, ma come un crogiolo, una sorta di imbuto o di passino attraverso cui dobbiamo continuamente fare la tara delle nostre fantasie e immaginazioni – persino quelle così devote e sante – per scendere al livello della realtà cui continuamente la relazione con i nostri fratelli e sorelle in umanità ci costringe, talora mortificandoci radicalmente. Laddove noi siamo tentati di calcolare e misurare quello che diamo e quello che riceviamo nella nostra condivisione di vita col nostro prossimo, il Signore Gesù ci chiede di elevare lo sguardo per assumere un punto di vista non solo completamente diverso, ma anche magnificamente liberante: <prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi> (Lc 6, 35).

Senza mai dimenticare che la compassione verso il fratello è sempre un atto di compassione verso se stessi, perché ci permette di rivelare a noi stessi chi stiamo diventando talora con quelle fatiche e quegli incidenti che possiamo ben più facilmente rilevare e talora denunciare, nel cammino dei nostri fratelli. La parola del Signore Gesù ci è data come uno specchio: <E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro> (6, 31). Se ogni mattino ricominciassimo a muoverci nel dedalo delle nostre occupazioni e, in particolare, delle nostre relazioni, con questo specchio che ci faccia da orientamento e da guida, forse, a sera, saremmo meno stanchi e, di certo, meno arrabbiati. Ciò che il Signore ci richiede non è di diventare ingenui, ma di assumere un atteggiamento realmente attento sulle situazioni e le persone, ma sempre rammemorando ciò che noi stessi ci aspettiamo dalla vita e speriamo nella vita. La misericordia assoluta non è un atteggiamento debole di resa per evitare il confronto e sottrarsi al conflitto. È, invece, un atto di speranza in quel frammento di divinità che abita ogni cuore… persino il nostro!

Fiducia

XXIII settimana T.O.

L’apostolo Paolo chiede per se stesso da parte della comunità cui si rivolge una sorta di attestato di <fiducia> (1Cor 7, 25). Se questa fiducia possiamo accordarla a Paolo, ancora di più possiamo dare fiducia al Signore Gesù che ci mette di fronte alle esigenze della fedeltà al Vangelo attraverso le parole delle beatitudini che sono necessariamente legate anche alle “guaititudini”. Per quattro volte il Signore Gesù ripete <Beati>, ma per quattro volte ripete pure <Guai>. In tal modo l’evangelista Luca ci fa cogliere come la sfida del Vangelo è una sfida non a senso unico, ma a senso alternato o a senso complesso. Così dicendo il Maestro ci ricorda e, in certo modo, rafforza la nostra responsabilità su quelli che sono gli scenari della nostra vita. Il primo passo sembra proprio essere quello dell’attenzione e della vigilanza per non perdere il contatto con ciò che in noi e attorno a noi è povero e piccolo… per ritornare a Paolo, potremmo dire con ciò che è <vergine>!

L’evocazione della verginità fa tutt’uno nelle parole di Paolo con l’evocazione della necessità e delle costrizioni proprie della vita, che vanno assunte e trasformate ogni giorno in un’occasione possibile di crescita nella verità e nella libertà. Lo sguardo e la parola di Gesù che si volge <verso i suoi discepoli> (Lc 6, 20) è uno sguardo che beatifica, felicita, congratula. Ogni giorno siamo chiamati a lasciarci toccare fino ad essere trasformati da questo sguardo che, oltre a beatificarci, pure smaschera tutto ciò che in noi si oppone alla logica del Vangelo. Mettendo insieme le raccomandazioni paoline <riguardo alle vergini> (1Cor 7, 25) e le parole roventi del Signore Gesù, possiamo dire che al discepolo che siamo e stiamo diventando è offerta la strada di una rinascita interiore capace di riportarci all’essenziale.

Come la verginità così pure lo stile delle beatitudini non sono affatto un impoverimento o una mortificazione delle nostre possibilità di crescita e di sviluppo. Al contrario siamo messi di fronte all’esigenza e alla possibilità di riprendere ogni giorno un atteggiamento di assoluta disponibilità verso ciò che la vita ci richiede e ci offre come possibilità per l’esercizio pieno e generoso della nostra volontà. Come vergini e come poveri siamo posti dalla parola del Signore davanti al mistero di una possibilità di rimettere ogni giorno ordine tra i nostri desideri, per maturare una libertà da noi stessi che ci renda curiosi e generosi verso la vita. Il Signore ce lo ricorda con cura: <Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti> (Lc 6, 26). Da parte sua l’apostolo Paolo ci svela una sorta di trucco per non cadere nella trappola di noi stessi: <d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente> (1Cor 7, 29-31). Non si tratta di una inutile mortificazione, ma di un atteggiamento terapeutico di libertà interiore che ci può rendere veramente e solidamente <Beati>.

NUOVO ABATE PRESIDENTE

Così diversi

XXIII settimana T.O.

La preghiera abitua a riconoscere e ad amare la diversità tanto da renderla una realtà su cui si fonda la vita della Chiesa a servizio di un’umanità in crescita, proprio perché abitata da un processo di differenziazione che arricchisce ed esalta il senso e la bellezza del vivere e del vivere insieme. Oggi contempliamo il Signore Gesù che <se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio> (Lc 6, 12). La preghiera del Signore non è un’evasione, ma prepara la strada all’invasione, per così dire, del disegno di Dio sulla nostra umanità che, attraverso la scelta del gruppo degli apostoli, segna e orienta il cammino di tutti. Come spiega Jean-Louis Souletie: <La fede è fondamentalmente ecclesiale. Credere in Dio significa entrare nel mistero di un’alleanza e prendere posto come membro del corpo di Cristo, membro del popolo santo redento dal suo sangue>1. La preghiera del Signore rende possibile l’instaurarsi di questa alleanza tra Dio e la nostra umanità su cui si fonda il superamento possibile di ogni <lite> (1Cor 6, 4). Nel silenzio crescono gli alberi, i fiori e l’erba ed è in un silenzio maestoso che gli astri si muovono nel cielo facendo danzare col loro fremito il nostro pianeta… ed è nel silenzio che siamo chiamati a far maturare le nostre scelte più importanti perché possiamo portare un frutto di pace per tutti.

Leggendo e meditando la pericope evangelica si rimane toccati dalla sequenza temporale in cui il Signore Gesù sembra porre uno dei momenti più delicati e importanti del suo ministero come è la scelta dei Dodici. Il testo dice che <Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione> e subito aggiunge <quando fu giorno…> (Lc 6, 12-13). Lungi dall’essere semplicemente un dato cronologico che ci rapporta la sequenza degli avvenimenti, il comportamento del Signore Gesù rappresenta un insegnamento per ciascuno di noi. Si potrebbe riassumere il messaggio che ci viene dall’esempio del Signore in questi termini: la notte prepara il giorno! Di fatto vi è un’ulteriore nota che si trova alla fine della “lista” dei nomi degli apostoli che sempre ci turba e ci lascia perplessi: <Giuda Iscariota, che fu il traditore> (6, 16). Laddove noi ci aspetteremmo una scelta fatta in base al merito e alla familiarità con il Signore e alla capacità di essergli fedeli fino alla fine, il vangelo ci invita ad entrare nel mistero dell’elezione divina che non è “puritana”, ma realista e totale. Non si tratta di avere delle truppe scelte di fedelissimi… il Signore Gesù si circonda di un ristretto gruppo di discepoli che non è esente dalle <malattie> di tutti e non è meno tormentato da quegli <spiriti immondi> (6, 18) di cui fa esperienza la folla e di cui fa esperienza sempre la Chiesa.

Se avessimo qualche dubbio basta ascoltare con attenzione la prima lettura in cui abbiamo una chiara visione di quella che è la vita concreta di una chiesa tanto entusiasta quanto fragile come quella di Corinto: <lo dico per vostra vergogna!> (1Cor 6, 5) conclude Paolo. Si tratta delle <liti per cose di questo mondo> (6, 4) per la cui soluzione i credenti chiedono l’arbitrato dei giudici pagani. E l’apostolo non esita a dire con chiarezza e in verità come sia <già una sconfitta avere liti vicendevoli> (6, 7). Eppure, nonostante tutto ciò sia evidente, chiaro, desiderato da tutti… le ombre convivono assieme alla luce nella comunità dei credenti persino nel suo nucleo di fondamento qual è il gruppo degli apostoli. Ma il fatto che il Signore abbia preparato il <giorno> (Lc 6, 13) della scelta degli <apostoli> con una <notte> passata <in orazione> (6, 12) ci fa sentire come nella sua preghiera e nel suo intimo colloquio con il Padre riguardo a ciascuno di noi, le nostre tenebre sono come comprese, già messe in conto e radicalmente già vinte perché già viste. La parola che l’apostolo rivolge ai Corinti dovrebbe penetrare il nostro cuore: <Non illudetevi> (1Cor 6, 9). Né per le nostre persone né per le nostre comunità possiamo cadere nell’illusione che la chiamata di Cristo ci esenti dal confronto con noi stessi e le nostre ombre… tutt’altro!

Per il Signore Gesù l’intento non è quello di mettere insieme i “migliori”, ma di tenere insieme degli uomini come tutti al fine di metterci di fronte al meglio, permettendo di manifestare la verità del cuore fino in fondo. Il meglio non è dentro di noi ma in quella <forza che sanava tutti> (Lc 6, 19) e di cui, forse, l’apostolo Giuda – che ben ci rappresenta – non ha saputo approfittare perché troppo sicuro della sua forza, troppo concentrato sulla sua luce tanto da rimanerne talmente accecato da cadere irrimediabilmente preda della <notte> (Gv 13, 30).


1. J-L. SOULETIE, Service nationale de la catéchèse, Ed. Bayard, Paris 2007, p. 57) 

XXI CAPITOLO GENERALE