Vicino
XXVI settimana T.O. –
La reazione del Signore Gesù alla <discussione> (Lc 9, 46) avvenuta tra i suoi discepoli i quali pensavano e forse speravano che il Maestro non se ne accorgesse, prima di essere una parola è un gesto: <prese un bambino, se lo mise vicino> (9, 47). Questo gesto, in realtà, è duplice perché se è vero che questo bambino si ritrova ad essere così vicino a Gesù è anche vero che Gesù vuole ritrovarsi così vicino a questo bambino che sembra preso dalla folla senza nessuna particolare segnalazione né selezione. Con questo gesto cui segue una parola tra le più importanti per il nostro cammino di discepoli e di Chiesa, il Signore Gesù prima di tutto accoglie il bisogno che ciascuno dei suoi discepoli ha di essere <più grande> che, per loro, significava riuscire a dirsi chi era più vicino al Maestro e chi, forse, era destinato a succedergli nella guida del gruppo. A quest’ansia di prestazione e a questo comprensibile bisogno di riconoscimento, il Cristo risponde con una sorta di semplificazione assoluta: <Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande> (9, 48).
La liturgia ci obbliga a leggere queste parole del Signore Gesù dopo aver cominciato la lettura del libro di Giobbe che si conclude quest’oggi con una frase portentosa: <In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto> (Gb 1, 22). Giobbe è sicuramente un uomo che corrisponde al modello proposto dal Signore Gesù ai suoi discepoli proprio perché accetta di farsi interpellare dalla vita nei suoi momenti più gradevoli come in quelli più dolorosi e incomprensibili con una semplicità che gli permette di subire la prova senza essere disumanizzato dal dolore. Davanti alla sequenza di terribili drammi che avrebbero reso comprensibile almeno un minimo di rivolta, Giobbe dice così: <Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore> (1, 21).
La prova più grande che Giobbe dovrà affrontare sembra non essere quella della sofferenza, bensì la resistenza che dovrà opporre ai suoi tre amici e al saccente Eliu che cercheranno in tutti i modi di indurlo a dubitare di se stesso e di strapparlo così alla sua semplicità che gli permette di accogliere nella vita i momenti più belli unitamente a quelli più dolorosi con quella serenità con cui si accetta di vincere o di perdere in un gioco. Il Signore Gesù cerca di aiutare i suoi discepoli a rettificare il loro modo di pensare alla vita. Invece di essere continuamente preoccupati di come saremo accolti e stimati, siamo chiamati ad accogliere così da imparare a lasciarci accogliere. Giovanni tenta di cambiare discorso forse per superare il rossore della vergogna e cita la questione di questi esorcisti che si fanno forti del nome di Gesù senza essere formalmente suoi discepoli e rischiando così di allargare in numero dei concorrenti. La risposta del Signore è, ancora una volta, chiara, serena, semplificante: <Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi> (Lc 9, 50). Come spiega Ermes Ronchi: <Gesù, uomo senza frontiere, ci ripropone il sogno di un mondo di uomini le cui mani sanno solo donare, i cui piedi percorrono i sentieri degli amici, un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici del genere umano, e per questo tutti amici di Dio>.