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XVII settimana T.O.

In una realtà come la nostra in cui siamo continuamente bombardati e talora perennemente connessi, per essere sempre in rete e continuamente informati, la nota del vangelo può assumere un peso del tutto particolare: <al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù> (Mt 14, 1). È questa notizia a scatenare, per così dire, la penna dell’evangelista e raccontare la morte del Battista che ancora turba i sogni e la veglia del tiranno. Con questo stratagemma l’evangelista Matteo trova il modo per dirci come la fama e le notizie che possono essere non solo abbondanti ma perfino circostanziate non fanno, spesso, la conversione. Dopo aver raccontato l’inaccoglienza riservata a Gesù nella sua Nazaret, ci viene ricordato che la parola e la presenza di Gesù rappresenta sin da subito una minaccia anche per i poteri religioso e politico con la sua carica di libertà e di rinnovamento. Se l’atteggiamento degli abitanti di Nazaret è frutto dell’incapacità a credere per l’inabilità ad andare un poco oltre gli schemi già conosciuti, l’attenzione sospettosa di Erode è alimentata dalla paura… proprio come il suo omonimo che, per il terrore, fece assassinare dei bambini.

Questo è già successo per Giovanni Battista, ucciso nel bel mezzo di una festa di <compleanno> (14, 6) e ben presto accadrà anche per il Signore Gesù che, proprio meditando sulla fine cruenta del suo maestro, amico e parente comincerà a preparare se stesso e i suoi discepoli agli eventi pasquali. Il senso e, per molti aspetti, i meccanismi di tutto ciò ci vengono spiegati nella prima lettura ove ci viene raccontata la reazione del popolo e, soprattutto, dei sacerdoti alla predicazione profetica di Geremia: <Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!> (Gr 26, 11). Pertanto sentire con gli orecchi non è ancora il segno che ci si è aperti veramente ad un messaggio! Si dice altrove che Erode ascoltava volentieri Giovanni, ma questo non significava, affatto, lasciarsi toccare realmente dalle sue parole. Quando le cose funzionano così, la morte del profeta diventa necessaria per non morire a se stessi e continuare nei propri comodi dando a se stessi l’illusione di essere sensibili a discorsi più alti.

Geremia non ha peli sulla lingua: <Migliorate dunque la vostra condotta…> (26, 13). Il popolo si lascia toccare per una volta dalla forza con cui Geremia è disposto a dare la sua vita, ma non sarà così fino alla fine, non fu così per il Battista, non sarà così per il Signore Gesù… e come sarà per noi? Ogni profeta non fa che rivelare le zone d’ombra del nostro cuore e, così, viene fuori se e quanto desideriamo veramente aprirci alla luce.

Profeta

XVII settimana T.O.

Non è difficile immaginare quanto le parole e l’esperienza del profeta Geremia abbiano formato il cuore del Signore Gesù sostenendolo nella preparazione del suo ministero e facendo maturare nel suo cuore la disposizione a pagare, fino in fondo, il prezzo della sua testimonianza. La conclusione della prima lettura non lascia scampo: <Tutto il popolo si radunò contro Geremia nel tempio del Signore> (Ger 26, 9). Il tempio, che fa da sfondo significativo nella prima lettura, diventa la <sinagoga> (Mt 13, 54) nel Vangelo. Il risultato non sembra cambiare, anzi, persino inasprirsi: <Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua> (13, 57). Abbiamo ancora nelle orecchie e nel cuore l’eco delle parabole che Gesù ha raccontato e commentato alla folla e ai suoi discepoli, e ci troviamo ora nella situazione in cui la sua parola è come se si scontrasse con la più terribile delle resistenze attraverso un senso di familiarità che chiude le possibilità ad un reale incontro e blocca ogni incremento possibile di relazione: <Ed era per loro motivo di scandalo> (13, 57).

Il profeta, per sua natura, non può essere mai motivo di accomodamento! Fa parte del suo ministero e, prima ancora, della sua esperienza interiore sentire l’appello della Parola quale invito costante a verificare e convertire la propria vita. Il passaggio di Gesù a Nazaret si conclude con questa nota: <E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi> (Mt 13, 58). I prodigi e i segni già compiuti dal Signore Gesù non sono un modo per costringere alla fede in lui, al contrario essi sono la risposta ad una fiducia già sentita ed espressa di cui i segni sono una conferma per crescere ulteriormente nella fede. Che il tempio e la sinagoga si trasformino in luoghi di incredulità e persino diventino lo sfondo in cui si decide la sorte amara dei profeti, è molto triste, eppure rimane qualcosa di possibile che bisogna saper mettere in conto.

La mancanza di fede rende il Signore Gesù impotente ed egli non forza, ma si arrende! La sinagoga di Nazaret dove il Signore Gesù è stato allevato e dove ha mosso i suoi primi passi nella festa, tenuto per mano dal padre Giuseppe e in compagnia dei suoi cari – fratelli, sorelle e amici – diventa stranamente la <loro sinagoga>! È maturata una certa estraneità dovuta all’incapacità di ascoltare veramente e fino in fondo. Eppure il Signore Gesù non disdegna di esporsi e di offrirsi alla nostra accoglienza assumendo anche il rischio di essere rifiutato fino ad essere eliminato. Il ministero di ogni profeta, in ultima analisi, non è che a servizio della crescita della nostra consapevolezza e responsabilità. La vera posta in gioco di ogni ascolto e di ogni obbedienza alla parola che si raggiunge attraverso i profeti ha come fine quello di rivelarci a noi stessi per prendere in carico – fino in fondo – il carico del nostro desiderio la cui autenticità si misura sempre sulla nostra capacità o meno di rischiare, di donare, di comprometterci.

Seduti

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Due immagini sembrano rincorrersi attraverso le letture che la Liturgia offre alla nostra meditazione come traccia per orientare il nostro cammino di conversione: il vasaio e i pescatori! Il vasaio viene colto dal profeta Geremia invitato dal Signore Dio a scendere nella sua <bottega> (Gr 18, 3) proprio nell’atto delicato e grave di rifare un vaso che, <come capita> (18, 4) può anche non venire bene e persino guastarsi, nell’atto stesso di essere completato. Non cogliamo nessuna agitazione né tantomeno rabbia! Semplicemente si dice che egli <riprovava di nuovo e ne faceva un altro come ai suoi occhi pareva giusto> (18, 4). Allo stesso modo vediamo i pescatori che dopo aver tirato a riva le reti con grande calma <si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi> (Mt 13, 48).

Sia nel vasaio costretto a rifare un vaso, come nei pescatori che fanno la cernita dei pesci, possiamo ammirare non solo la calma, ma un senso di profonda naturalezza: è più che normale, anzi scontato, che un vaso possa venire male ed essere rifatto con la medesima argilla, così pure è assolutamente previsto che nella rete non si lascino pescare solo pesci buoni, ma pure quelli cattivi. L’operazione del rifacimento come quella della cernita fa parte del lavoro e vanno vissuti con l’impegno richiesto per ogni fase di un qualsiasi lavoro, ma senza nessuna apprensione. Il Signore Dio non esita a rivelare a Geremia, forse un po’ troppo teso per il suo ministero profetico: <Forse non potrei agire con voi, casa di Israele come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa di Israele> (Gr 18, 6).

Parimenti il Signore Gesù sembra ricordare ai suoi discepoli di fare il proprio lavoro con dedizione, ma pure con grande semplicità: <Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni…> (13, 49). Sembra che il Signore ci tenga a ricordare ai suoi discepoli che questo lavoro di cernita e di destinazione definitiva non è il loro compito, ma quello degli <angeli>. A loro, alla Chiesa di sempre, spetta il compito di raccogliere, di gettare la rete nel mare che è il <mondo> lasciando che i pesci vi entrino dentro senza sentirsi in dovere di espellere quelli cattivi, quasi per paura che i buoni ne siano contaminati. Inoltre, ai discepoli, alla Chiesa in ogni situazione concreta, spetta il compito di tirare la rete piena a riva… il resto compete agli <angeli>, che è un modo delicato per dire che non compete a noi.

Queste due parabole infondono una grande serenità! La domanda del Maestro viene posta anche a noi: <Avete compreso queste cose?> (13, 51). E ancora una volta, il Signore Gesù usa una parabola per infonderci dedizione e serenità: <ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche> (13, 52). Ancora una volta possiamo immaginare quale calma animi questo gesto del padrone che mette ordine fra le sue cose non come un servo agitato e timoroso.