… allora

XIII settimana T.O.

La risposta che il Signore Gesù dà ai farisei crea uno stato di sospensione e lo indica come uno stato necessario e imprescindibile del cammino del discepolo: <Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno> (Mt 9, 15). La discussione sul digiuno segue da vicino quella sulla preminenza assoluta della misericordia che si è appena manifestata non solo nella chiamata di Matteo, ma pure nella magnifica “tavolata” di <pubblicani e peccatori> che è stata imbandita nella sua casa e a cui il Signore Gesù non si sottrae, anzi partecipa amabilmente: non può certo un medico esercitare la sua professione se decide di non avvicinarsi ai malati! La rivoluzione evangelica viene rimarcata dall’immagine sponsale attraverso cui viene comunicato un principio assolutamente nuovo: è la pienezza di una gioia che permette di affrontare i cammini più esigenti e più ardui. È come se il Signore ci comunicasse la sua stessa esperienza divina. Infatti, la sua assoluta esperienza di amore e di intimità con il Padre gli permetterà di donare la sua vita attraversando le penombre della nostra natura e della nostra storia.

In realtà è solo la memoria di uno <sposo con loro> che può dare la forza di sopportare e attraversare i tempi della privazione e dell’attesa. Se quest’esperienza non ci fosse – e molto spesso purtroppo non c’è – nessuna attesa reale sarebbe possibile, ma si rischierebbe di cadere nella trappola dell’amarezza o dell’ansia di prestazione. Si compie meravigliosamente la parola profetica di Amos: <Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme> e ancora <i monti stilleranno il vino nuovo e le colline si scioglieranno> (Am 9, 13). A questa parola di Amos fa eco quella del Signore Gesù: <Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano> (Mt 9, 17).

Il vino nuovo è il modo nuovo con cui il Signore Gesù ristabilisce la sequenza del modo di entrare in relazione con Dio che mette sempre al primo posto non il dovere di amare, ma la gioia di sentirsi incondizionatamente amati, che fa della vita – e in particolare della vita di fede – un invito a nozze e non la costrizione a partecipare continuamente a dei funerali! Per certi aspetti si potrebbe ancora citare il detto: <Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei>. E la risposta di Gesù è la sua vita dominata e continuamente orientata da una sola passione: <Mio cibo è fare la volontà del Padre> (Gv 4, 34).

Mentre

XIII settimana T.O.

Come scrive Christian Bobin, il Signore Gesù <va diritto alla porta dell’umano che è in noi. Aspetta che questa porta si apra. La porta dell’umano è il volto>. Ed è proprio al livello del volto, attraverso lo sguardo come ha magnificamente intuito Caravaggio che si consuma l’incontro tra Gesù e Matteo. Un incontro che apre la possibilità per quest’uomo incatenato <al banco delle imposte> (Mt 9, 9) di poter reimpostare e immaginare in modo completamente nuovo la sua vita, senza escludere nulla e senza defenestrare nessuno, senza per questo rinunciare a coltivare uno sguardo nuovo su ogni cosa e su ogni persona uscendo dai propri blocchi e dalla sottile condanna a ripetersi. Ciò che sfugge ai farisei, che non lesinano di mascherare il loro imbarazzo fingendo di essere devotamente imbarazzati, è ciò che è avvenuto nell’incontro tra Gesù e Matteo: incontro di sguardi, comunione di cuore, intuizione di intime e segrete sofferenze che esigono la cura di un amore sempre più grande.

In questo contesto di incontro che tocca e guarisce il cuore, la reazione del Signore Gesù alle seccanti argomentazioni dei farisei non lascia dubbi: <Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”> (9, 12-13). La prima lettura ci offre un versetto che ci aiuta a cogliere tutto il peso e, soprattutto, le conseguenze di questa parola del Signore: <In quel giorno farò tramontare il sole a mezzogiorno e oscurerò la terra in pieno giorno!> (Am 8, 9). Questa parola del profeta si è compiuta in modo unico nel momento della morte del Signore Gesù innalzato sulla croce. In tal modo ci viene ricordato che il perdono e la misericordia esigono il dono totale della propria vita che passa sempre attraverso il sottile passaggio – una vera e propria Pasqua! – tra l’offerta di <sacrifici> (Mt 9, 13) e il sacrificio di se stessi a favore della vita e della guarigione dell’altro.

Francesco d’Assisi, rivolgendosi ad un superiore dell’Ordine Francescano, scrive così: <Ecco da cosa riconoscerò che ami il Signore, e che mi ami, me, suo servo e tuo: se qualunque fratello al mondo, dopo aver peccato quanto è possibile peccare, può incontrare il tuo sguardo, chiederti perdono, e andarsene perdonato. Se non ti chiede perdono, chiediglielo tu, se vuol essere perdonato. E anche se dopo pecca ancora mille volte contro di te, amalo più di quanto ami me, e ciò per ricondurlo al Signore>1. La sfida è quella di mettere l’altro sempre al primo posto, mettendolo in condizione di crescere e di fare un cammino. Questo esige la capacità e la volontà di dare tempo, proprio come fa Gesù non solo quando passa nella vita di Matteo, ma anche quando interseca la vita di quanti fanno parte della sua vita <Mentre sedeva a tavola nella casa…> (9, 10). 

Così la fame di cui parla il profeta Amos <non di pane ma di parola> (Am 8, 11) trova una risposta in Gesù che ci sazia con la sua misericordia, la sua benevolenza, la sua compassione: saziati, siamo chiamati a saziare!


1. FRANCESCO D’ASSISI, Lettera ad un superiore dell’ordine francescano.

Facile?

XIII settimana T.O.

La provocazione con cui il Signore Gesù reagisce alla reazione dei farisei che sono scandalizzati dalla sua pretesa di poter arrivare a guarire non i sintomi ma le radici delle malattie che ci paralizzano e ci sfigurano, riguarda anche noi: <Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono rimessi i tuoi peccati”, oppure “Alzati e cammina”?> (Mt 9, 5). La <bestemmia> (9, 3) che viene contestata a Gesù è, in realtà, la più grande delle benedizioni e delle confessioni della grandezza di Dio che si possa immaginare: <Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati> (9, 2). Il Signore Gesù ci rivela un volto di Dio che ci fa coraggio nell’affrontare la vita superando tutte le nostre paralisi e dedicandoci a questo processo di ottimizzazione della vita insieme. L’evangelista sottolinea come la parola rivolta direttamente e autorevolmente al paralitico è il frutto di una constatazione più ampia: <vedendo la loro fede>. 

È come se il Vangelo ponesse sotto i nostri occhi due modi di stare al mondo insieme: quello dei farisei da una parte che sembrano continuamente preoccupati di trovare l’errore in tutto e in tutti e quello di questo gruppo di amici – il cui numero rimane indefinito in Matteo a differenza di Marco – che conduce a Gesù il paralitico nella piena fiducia che qualcosa di buono e di bello potrà ancora succedere nella sua vita a contatto con il Cristo. La risposta alla domanda provocatoria del Signore Gesù non è teorica, ma è assolutamente pratica:< Ed egli si alzò e andò a casa sua> (9, 7). Ciò che sta al cuore della predicazione esistenziale del Signore è che ogni persona possa riprendere in libertà, autonomia e pienezza la propria strada per coronare al meglio il mistero della propria vita. Per questo è necessario sempre un grande <coraggio> che è il primo dono che il Cristo fa a chiunque si avvicini a Lui nella sincera fiducia di poter ricevere una spinta e un orientamento per continuare a vivere.

Eppure ciò che ci viene narrato nella prima lettura circa il profeta Amos, vale anche per il Signore Gesù che reclama per se stesso il titolo misterioso e inquietante di <Figlio dell’uomo> (9, 6). Nello scontro di competenze che mette a rischio una serie di privilegi il sacerdote di Betel non esita a cercare e ottenere al complicità del re Geroboamo: <Amos congiura contro di te, in mezzo alla casa di Israele; il paese non può sopportare le sue parole> (Am 7, 10). Ciò che non è sopportabile nelle parole e nelle prese di posizione di Amos è proprio la sua decisione a smascherare le logiche del potere iniquo che rischia di alleare il potere politico e quello religioso a svantaggio dei più umili e dei più poveri. Così pure ciò che allarma i devoti farisei è che la predicazione e la compassione di Gesù dia troppo coraggio a quanti sono normalmente tenuti in una situazione di soggezione e questo li renda troppo liberi e troppo audaci… troppo poco controllabili attraverso un sistema sottile di colpevolizzazione che la parola di Gesù stravolge con quel suo diretto, gratuito e incondizionato: <Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati>. Tutto può ricominciare! La questione rimane aperta: cosa è più facile rimettere in moto il cuore o le gambe?!

Riconoscere

S. Tommaso apostolo

Nella Colletta preghiamo con queste parole: <perché credendo abbiamo vita nel nome del Cristo, che fu da lui riconosciuto suo Signore e suo Dio>! La festa dell’apostolo Tommaso è sempre un’occasione propizia per fare il punto non solo sul nostro cammino di fede, ma, ancor più efficacemente, sulla nostra rinascita nella fede. Quando il Signore Risorto si rivolge direttamente a Tommaso con una domanda così esigente non lo fa per umiliarlo, ma al fine di permettergli di compiere un passo in più nel suo cammino di fede: <Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente> (Gv 20, 27). Il Signore Gesù chiede a Tommaso di fare esattamente quello che aveva chiesto di fare: <Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo> (20, 25). L’insistenza di Tommaso sui segni della passione è alquanto sorprendente.

Non sappiamo se gli altri apostoli che avevano visto il Maestro Risorto avessero insistito così tanto con l’apostolo assente sui segni della passione, eppure sono questi che fanno la differenza tra la risurrezione e un fantasma. Stando in mezzo ai suoi il Signore aveva mostrato <le mani e il fianco> (20, 20) e ora ritorna al fine di permettere a Tommaso di riconoscere proprio in chi gli sta davanti il suo Maestro e il suo Signore nella continuità di una vita talmente offerta e così interamente donata da essere risorta nella morte, da essere viva nella più assoluta sconfitta. L’invito del Signore è anche per noi: <non essere incredulo, ma credente!>. Il cammino della fede è impastato radicalmente nel cammino concreto della vita e passa, soprattutto, attraverso ciò che segna la nostra vita in modo indelebile come sono le piaghe del Cristo la cui risurrezione non copre ma esalta i segni della croce.

Quando l’apostolo Paolo ci ricorda di avere <come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù> (Ef 2, 20) lo fa per aiutarci a riconoscere proprio nel mistero pasquale il luogo su cui rifondare continuamente la nostra vita. La vita di fede non è un semplice assenso ad un dogma, ma significa accettare di camminare, come tutti i nostri padri e madri nella fede, e di farlo <insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito> (2, 22). Diventare sembra essere la parola d’ordine del regime instaurato dalla risurrezione del Signore. Crescere è l’orizzonte normale di ogni vita credente continuamente aperta al passo successivo richiesto dalla vita. Riconoscere ciò che siamo diventati per continuare a divenire ciò per cui siamo venuti al mondo è un passo indispensabile per non impantanarci nelle nostre superficiali credenze o disperarci in una vuota autoreferenzialità. Come ricordava Paolo VI: <Evangelizzatrice, la Chiesa comincia sempre con l’evangelizzare se stessa… se vuole conservare freschezza, slancio e forza per annunciare il Vangelo>1.


1. PAOLO VI, Evangeli Nuntiandi, 15.

Duello

XIII settimana T.O.

Nella prima lettura il profeta Amos ci mette davanti ad una sorta di interrogatorio. L’elenco di domande non vuole essere altro che un modo – molto simile a ciò che Dio fa con Giobbe alla fine del libro che ci narra il magnifico misurarsi tra l’Altissimo e il suo servo tribolato – per prendere coscienza della signoria di Dio sulla nostra vita. Le ultime parole del profeta hanno il sapore di una vera e propria sfida: <prepàrati all’incontro con il tuo Dio, Israele> (Am 4, 12). Nel Vangelo, il luogo di questo appuntamento per affrontare una sorta di duello tra il Signore e ciascuno di noi sembra proprio essere il mare aperto: <Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era ricoperta dalle onde> (Mc 8, 24). La nota che conclude questo versetto rende lo <sconvolgimento> veramente sconvolgente poiché <egli dormiva>! Laddove tutto fa pensare che il Signore Gesù si sia addormentato, in realtà egli assume su di sé, per superarlo, il nostro essere addormentati dentro. Il dormire del Signore Gesù permette di svegliare nei discepoli quella fede sempre non solo poca, ma così poco profonda da essere turbata da una folata di vento. Non è raro che ci sentiamo travolti da burrasche che si consumano nello spazio ristretto di un bicchiere e il Signore ci dà tutto il tempo di prendere le misure della nostra incapacità e di aprire il cuore alla supplica: <Salvaci, Signore, siamo perduti!> (8, 26).

Come per i discepoli, anche la nostra fede è sempre alquanto piccola. Soprattutto il nostro modo di sentire e di vivere il nostro rapporto con Dio rischia talora di essere così poco puro da noi stessi e altamente contaminato dalle nostre paure che sono, troppo spesso, frutto dei nostri desideri frustrati. Per questo il nostro cuore è raramente vigile tanto che le prove della vita ci trovano spesso impreparati e impauriti. È il Signore Gesù a ridonare la calma al mare del nostro cuore, ma non prima di averci come obbligato ad agitare in noi la fede, come si fa con un prodotto perché funzioni al meglio…  solo dopo tutto ritorna alla pace. La pace a caro prezzo del Vangelo non arriva prima di aver accettato e accolto di nuovo di lasciarci dirigere piuttosto che dirigere, di lasciarci svegliare mentre ci sembra di scuotere dal sonno Colui che non dorme mai come il leone. In una icona orientale si può contemplare il Signore Gesù che dorme con un occhio aperto e Cirillo di Gerusalemme annota: <Molteplici sono le forme che il Salvatore prende nei suoi interventi per ciascuno di noi, ma si fa tutto a tutti adattandosi alle nostre debolezze come medico davvero buono e maestro compassionevole>1.

Non dobbiamo mai dimenticare di considerare il mistero del silenzio con cui l’Altissimo sembra assistere ai nostri più intimi sconvolgimenti e di quanto questo ci turba e ci interroga profondamente come già fa il profeta Amos con il popolo. Se poi ci sembra persino che il Signore dorma, questo ci disturba fino a indispettirci. Eppure, la presenza di Dio, mistero di insondabile amore, non può che calmarci con la sua calma imperturbabile.


1. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi, 10.

Nudo

XIII settimana T.O.

Due detti del Signore formano il Vangelo di oggi che interpella ancora una volta la nostra vita di discepoli. Due risposte che il Cristo dà a due interlocutori senza nome che sembrano quasi impedire a Gesù di <passare all’altra riva> (Mt 8, 18). È come quando qualcuno chiede qualcosa mentre si sta partendo o si sta uscendo di casa… è comunque un’interruzione che richiede non solo un surplus di attenzione, ma pure un di più di attenzione. Il Signore Gesù, dopo aver compiuto dei segni di accoglienza e di guarigione, riprende la sua strada senza mai accettare di essere imprigionato dal suo stesso crescente successo nella considerazione della gente. Il Cristo va sempre oltre e vive ordinariamente in un dinamismo pasquale che esige una disponibilità assoluta a sapersi lasciare interpellare dai bisogni fino ad assumere il dolore in modo così profondo da saperlo lenire, ma senza mai lasciarsi bloccare né tantomeno possedere o, peggio ancora, manipolare fosse anche per motivi di compassione.

Questo tale che interroga il Signore sembra veramente ben intenzionato. Le sue parole sono sincere e decise: <Maestro, ti seguirò dovunque tu vada> (8, 19). La risposta di Gesù non è un rifiuto di accoglienza nel numero dei discepoli, ma è una chiarificazione netta del fatto – da tenere sempre presente – che mettersi alla sua sequela è un rischio e non un investimento: <il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo> (8, 20). Davanti a questo dialogo sembra proprio che uno dei discepoli trovi il coraggio di avanzare la sa richiesta, tra l’altro comprensibilissima e umanissima: <permettimi di andare prima a seppellire mio padre> (8, 21). La risposta di Gesù è un invito a restare nell’attimo presente in modo assoluto: <Seguimi…>! Per comprendere la forza e la portata di questi detti del Signore siamo aiutati dalle parole del profeta che dice: <Allora nemmeno l’uomo agile potrà più fuggire né l’uomo forte usare la sua forza, il prode non salverà la sua vita né l’arciere resisterà, non si salverà il corridore né il cavaliere salverà la sua vita. Il più coraggioso fra i prodi fuggirà nudo in quel giorno!> (Am 2, 14-15).

Questo testo sarà ripreso dall’evangelista Marco proprio nel contesto della Passione per indicare come l’unico modo per entrare nel mistero di Cristo è quello di lasciar cadere ogni maschera e ogni protezione. Il cammino richiesto ad ogni discepolo non è quello di un funzionario che si sopravveste dei suoi titoli e delle sue insegne, ma è un cammino di reale e continua spogliazione prima di tutto da ogni progetto personale. Solo così ciascuno può assumere tutta la propria vulnerabilità discepolare che ci permette di essere, infine, rivestiti dalla grazia del perdono e della compassione. Per essere discepoli non basta “volere”, bisogna prima di tutto e soprattutto assumere se stessi per andare incontro agli altri in modo disarmato e realmente aperto ad un incontro che non può e non deve mai lasciarci uguali a noi stessi.